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di Maria C. Fogliaro
«Valutare la riforma nel suo merito» è stato uno dei leitmotiv costantemente evocati dagli estensori e dai sostenitori della legge di revisione costituzionale (la cosiddetta «Riforma Boschi») nella campagna referendaria ormai arrivata a termine. Entrare nel «merito» di una revisione della Carta sulla quale il governo ha giocato la propria legittimazione significa, innanzitutto, parlare di questioni politiche che investono direttamente i fondamenti originari della Repubblica. Questo dato è emerso con chiarezza dal dibattito molto partecipato organizzato il primo dicembre, presso la Camera del lavoro metropolitana di Bologna, da Valore Lavoro − rappresentata da Rossella Lama (vicepresidente dell’associazione) −, e al quale è stato assegnato il titolo significativo Democrazia e lavoro: quali prospettive per il Paese, perché democrazia e lavoro sono il perno della nostra vigente Costituzione.
Sollecitato dalle domande di Massimo Giannini («La Repubblica»), che ha moderato l’incontro, Pier Luigi Bersani − dopo aver snocciolato i problemi ineludibili che si produrrebbero sugli assetti politici e istituzionali del Paese se il “sì” passasse − è andato al cuore dell’obiettivo di fondo della riforma: ovvero, l’indebolimento del legislativo e dei poteri di garanzia a vantaggio dell’esecutivo, grazie al «combinato disposto» fra legge elettorale (già approvata) e revisione costituzionale. «Se vince il “sì” − ha affermato l’ex segretario del Pd − lunedì noi avremo una situazione che vede la Costituzione riformata e l’Italicum», che insieme legittimano lo strapotere del Capo del partito che vince le elezioni. Al contrario, una vittoria del “no” consentirebbe − oltre alla possibilità di discutere e approvare, senza forzature parlamentari, una nuova legge elettorale – la riapertura di un canale di discussione politica oggi completamente assente, e un riorientamento del dibattito pubblico, dentro e fuori il Pd, in direzione di quello che è lo snodo fondamentale del nostro tempo: il fallimento della globalizzazione neoliberista e il malcontento diffuso che esso ha generato, che la destra sta già efficacemente interpretando e che può agire all’interno delle nostre società in modo incalcolabile e imprevedibile. «Anche per questo − ha detto Bersani − non bisogna lasciare il “no” alla destra».
Consapevole che all’origine del peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro non sono gli assetti istituzionali del Paese ma piuttosto le dinamiche che afferiscono al capitalismo neoliberale in crisi, il direttivo della CGIL − ha affermato Vincenzo Colla (segreteria nazionale CGIL) − si è espresso in modo inequivocabilmente unitario per «invitare la nostra gente a votare “no”». E per le stesse ragioni nei luoghi di lavoro e fra i pensionati in tanti non sentono il bisogno di cambiare la Costituzione. Il punto è che, se un partito che è entrato nel socialismo europeo nega di fatto a una parte consistente del suo elettorato lo spazio della rappresentanza, «è evidente che quel pezzo di popolo si perde e si va ad aggiungere a chi ha già smesso di andare a votare». Davanti a questo, la CGIL − ha affermato Colla − «non può non essere in campo».
Sull’altro fronte, anche i mercati si sono espressi unitariamente: negli ultimi giorni essi si sono mossi − attraverso il proprio giornale di riferimento, il «Financial Times» − a favore del governo paventando rischi, in caso di vittoria del “no”, per la tenuta del sistema bancario italiano. E − come ha osservato Giannini −, a grandi linee, i clienti delle banche cui hanno fatto riferimento sono cinque milioni, che tradotto significa cinque milioni di voti. In realtà − ha spiegato Andrea Sintini (segretario di Valore Lavoro) − dal punto di vista economico-finanziario, nonostante un po’ di tensione nel breve termine, «il mercato azionario si ricomporrà facilmente». Molto più preoccupante, invece, la situazione che si potrebbe creare sul versante obbligazionario (quindi del nostro debito nei confronti dell’estero) sul quale potrebbe scaricarsi strumentalmente la speculazione, anche perché il focus dei mercati si è spostato dalla Gran Bretagna − «oggi sotto tiro» − all’Italia. «Da qui − ha detto Sintini − l’errore drammatico di dare tutta questa rilevanza al referendum».
L’incontro − che ha visto anche gli interventi a favore del “no” di Simona Salustri (ANPI), Stefano Brugnara (Arci Bologna), e Pasquale Di Domenico (circolo Arci «Ritmo Lento») − si è rivelato utile per decifrare alcuni dei significati nascosti nelle pieghe del progetto di revisione costituzionale − trasposizione, a tutti gli effetti, delle necessità neoliberali (governabilità e libertà di manovra) all’interno delle istituzioni −, e per aver messo a disposizione di chi ha partecipato ulteriori strumenti per comprendere quale idea di futuro l’Italia mette davvero in gioco col voto di domani.