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Chi e perché ha ucciso Aldo Moro

L’on. Gero Grassi a Bologna per i nuovi sviluppi sul rapimento e sulla morte del leader della DC, emersi dai lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta

di Maria C. Fogliaro

Aldo Moro

A quasi quarant’anni dalla morte tragica del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro − rapito in via Fani a Roma il 16 marzo 1978 da un commando delle Brigate rosse (Br) e da queste assassinato il 9 maggio, dopo cinquantacinque giorni di prigionia − i conti su quella efferata vicenda ancora non tornano. Anzi, con il passare degli anni la trama oscura, fatta di omissioni, intrighi, depistaggi, verità mai completamente provate e strane palinodie, si è infittita. E l’affaire Moro appare, oggi più di prima, l’esito di una congiura inquietante, dalla pianificazione sofisticata e dall’origine complessa, difficile da smascherare.

È questo quanto ha spiegato, con dovizia di particolari, Gero Grassi (vicepresidente del gruppo Pd alla Camera dei deputati, e componente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro istituita nel 2014) intervenendo a Bologna il 12 gennaio, in una sala Imbeni gremita e nella quale erano presenti anche Francesco Critelli (segretario Pd Bologna), Claudio Mazzanti (capogruppo Pd Comune di Bologna) e Sandra Zampa (deputato Pd).

Grazie all’attività della Commissione parlamentare d’inchiesta − la cui seconda relazione annuale è stata pubblicata il 20 dicembre scorso − sono emersi nuovi e importanti elementi, che hanno arricchito il quadro generale della vicenda. E che, soprattutto, stanno minando le verità processuali finora accertate e basate essenzialmente sul cosiddetto «Memoriale Morucci» − la versione dei fatti raccontata in sede istruttoria e processuale da Valerio Morucci, all’epoca della vicenda a capo della colonna romana delle Br −.

Dopo aver spiegato che non tutti i risultati raggiunti dalla Commissione sono stati resi pubblici perché una parte fondamentale di indagini è ancora in corso, il deputato pugliese ha illustrato il materiale edito cercando di mettere in luce le incongruenze e le omissioni riscontrate nelle precedenti inchieste, effettuate in un clima di opacità e di strani rapporti internazionali che rende il caso Moro molto più complesso rispetto a quanto finora appurato.

In particolare, Grassi ha posto l’accento sulle novità emerse sul bar Olivetti in via Fani, indicato come lo snodo centrale di un traffico di armi internazionale, che la mattina del rapimento − al contrario di quanto sostenuto per anni − era aperto. E si è soffermato sulla presenza sul luogo del rapimento di misteriosi e numerosi soggetti, che avevano reso possibile un’operazione militare che − a detta dell’ex brigatista, Alberto Franceschini, sentito in Commissione − non avrebbe potuto essere alla portata delle Br. E ha inoltre menzionato i tentativi di trattativa guidati da interessi opachi e divergenti, con cambi di fronte repentini, doppi o tripli giochi, che videro protagonisti i servizi segreti italiani, atlantici, russi, mediorientali, la RAF (Rote Armee Fraktion) e l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), e anche Papa Paolo VI, attivatosi per la liberazione del leader della DC. Il deputato ha, poi, sottolineato i dubbi emersi sugli arresti di Morucci e Faranda che, contrariamente a quanto sostenuto fino ad oggi, si sarebbero in realtà consegnati allo Stato; le evidenti opacità nell’azione di prevenzione e repressione delle forze dell’ordine (con particolare riferimento a chi pur avendo saputo in anticipo dell’attentato non si era mosso); il ruolo svolto dalla scuola di lingue parigina Hyperion, in realtà centro di collegamento tra gruppi del terrorismo internazionale, ritenuta in contatto con i servizi segreti di mezzo mondo; e il problema di chi ha in realtà manovrato le Br, e di come queste si sono al loro interno divise fra diverse opzioni.

Dal racconto di Grassi, ricco di passione e di competenza, emerge un quadro che ha ancora bisogno di essere indagato, anche alla luce dei risultati delle nuove perizie predisposte. Nonostante la chiarezza parziale del contorno storico se guardato dalla prospettiva che vedeva Moro impegnato nell’allargamento al Pci dell’area di governo in piena guerra fredda, perdura una insoddisfazione profonda verso la verità ufficiale emersa dai processi e dalla narrazione brigatista. Dall’assassinio di Aldo Moro le istituzioni e la politica uscirono azzoppate, indebolite, delegittimate, e iniziò la devastante ritirata dal pubblico verso il privato. Contro questa deriva e contro il rischio che tutta la vicenda alla fine si spenga nel silenzio si impone eticamente e civilmente la necessità di proseguire nella ricerca della verità.

Gero Grassi

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