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La pubblicazione di “Danze e leggende dell’antica Cina” di Marcel Granet

di MAURIZIO SCARPARI

(in collaborazione con www.inchiestaonline.it , a cura di Amina Crisma)

Maurizio Scarpari: La pubblicazione di “Danze e Leggende dell’antica Cina” di Marcel Granet

| 3 Febbraio 2019 | Comments (0)

 

 

 

La pubblicazione di Danze e leggende dell’antica Cina (traduzione di Elena Riva Akar, cura editoriale di Carlo Laurenti, Adelphi 2019) colma, almeno in parte, una lacuna nel panorama editoriale italiano, ancor oggi privo di uno studio sistematico della mitologia cinese, e arricchisce l’elenco delle opere di Marcel Granet (1884-1940) disponibili nella nostra lingua. All’epoca in cui Granet iniziò gli studi universitari la sinologia francese rappresentava l’eccellenza in Occidente ed egli ebbe la fortuna di essere allievo di uno dei suoi massimi esponenti, Édouard Chavannes, al quale nel 1913 succedette all’École Pratique del Hautes Études, poco dopo essere rientrato dalla Cina, dove aveva trascorso alcuni anni come inviato scientifico del Ministero della pubblica istruzione. Storico di formazione, Granet passò presto a occuparsi di sociologia ed ebbe anche in questo campo illustri maestri, da Émile Durkheim a Marcel Mauss con il quale stabilì un rapporto di profonda amicizia e al quale dedicò Danze e leggende. L’influenza di queste eminenti personalità e il fervore intellettua-le del mondo accademico europeo di inizio secolo determinarono la direzione che avrebbero preso le sue ricerche.

All’inizio del suo percorso Granet si dedicò allo studio della religione e della struttura sociale dell’antica Cina, ritenendole intimamente correlate. Il suo fu un lavoro pionieristico, essendo tra i primi ad applicare alla sinologia le teorie sociologiche durkheimiane basate sull’analisi dei fatti sociali, che egli avrebbe desunto da un’analisi sistematica della letteratura ricevuta, in attesa che la ri-cerca archeologica, all’epoca ancora agli albori in Cina, fornisse elementi più oggettivi (chissà che piega avrebbero preso i suoi studi alla luce delle recenti scoperte che stanno rivoluzionando le nostre conoscenze della storia, del pensiero e delle arti della Cina antica). In un periodo in cui in Occidente si andavano definendo i contenuti, le finalità e i confini di discipline quali la storia delle re-ligioni, la sociologia e l’antropologia, Granet prese dunque una posizione netta, che gli attirò non poche critiche, soprattutto da parte dei sostenitori di quelle teorie etnografiche che privilegiavano la ricerca sul campo, come Wu Wenzao, formatosi alla Columbia University, Fei Xiaotong, allievo di Wen e di Bronislaw Malinowski, e Alfred R. Radcliffe-Brown.

Fu proprio in Danses et légendes de la Chine ancienne, uscito nel 1926 in due volumi, che Granet rese espliciti i metodi e gli obiettivi del suo lavoro. La lunga introduzione produsse in ambito sinologico l’effetto di un vero e proprio “manifesto rivoluzionario”, secondo uno dei suoi allievi più devoti, il sociologo e antropologo Yang Kun.

Granet concepì Danze e leggende come companion volume a un precedente lavoro, anch’esso ambizioso, Fêtes et chansons anciennes de la Chine (1919, tr. it.: Feste e canzoni dell’antica Cina, Adelphi 1990), nel quale fu affrontato il tema della relazione tra mondo aristocratico e mondo contadino, tra la “Cina delle Città descritta nei rituali classici, con le sue usanze nobili, la famiglia pa-triarcale e la vita di corte” dove le donne, completamente escluse dalla vita pubblica e religiosa, erano relegate nei ginecei, e la “Cina dei Villaggi”, dove invece veniva loro riconosciuto un ruolo attivo nell’economia rurale, grazie a una struttura familiare e sociale basata su una precisa divisione del lavoro, che teneva conto delle differenze di sesso, età, posizione.

In Danze e leggende il focus si sposta sui miti e sui cerimoniali che hanno dato vita a tradizioni, usanze, leggende, storie fantastiche incentrate sulla creazione del mondo, credenze e pratiche religiose e magiche, danze sacrificali le cui origini si perdono nella notte dei tempi, riportate nella lette-ratura classica in modo frammentario e confuso sotto forma di “brandelli irriconoscibili, amalgamati, ritagliati, mutilati” che creano un corpus di leggende “decomposte, ridotte alla condizione di concrezioni letterarie”. “Sentenze oratorie, simboli filosofici, temi d’azione, destinati a persuadere e a guidare, che hanno valore di proverbi, non copiati da testo a testo ma che passano di anima in anima” imponendosi in forza delle tradizioni. Granet analizza una letteratura sterminata costituita da una “polvere di centoni”, elementi essenziali e non semplicemente accessori della trama di opere create per un fine prevalentemente pratico: educare il Principe o i Saggi destinati a diventare consiglieri di corte.

A suo dire gli storici, concentrandosi sugli avvenimenti, spesso non riescono a vedere sotto la superficie. Egli muove una critica tanto ai cinesi quanto ai sinologi occidentali: se ci si affidasse a loro, ammonisce, non resterebbe più nulla che possegga un qualche valore letterario. L’imponente opera di erudizione condotta dai cinesi, pur brillante, gli appare fondata su uno spirito tutt’altro che positivo o autenticamente critico e, a suo dire, avrebbe portato a ben poco se non avesse incontrato lungo la via le metodologie d’indagine occidentali, più sofisticate ed efficaci. Imbrigliati in schematismi derivati dalla più remota antichità, gli esegeti cinesi gli appaiono condizionati da un esasperato rigore filologico, che li appiattisce nella ricerca spasmodica della purificazione dei testi in nome di un’ortodossia che li porta a eliminare “i fatti in cui la ragione profonda degli Antichi non sembra manifestarsi”. L’impegno di Granet consiste nella ricerca dei temi soggiacenti, per cogliere ciò che è rintracciabile sotto la superficie, decodificando le allusioni e valorizzando ogni indizio. Così ha preso corpo la sua opera, imponente per consistenza e complessità.

Se in Francia Danses et léggendes fu osannato come un capolavoro, in Cina ricevette un’accoglienza alquanto fredda. Fu anche oggetto di aspre critiche. L’antropologo Ding Wenjiang e il sinologo-filologo svedese Bernhard Karlgren hanno rilevato grossolani errori di natura filologica e forzature interpretative nelle traduzioni dei classici di non poco conto, abbagli in cui Granet incor-re talvolta a causa delle scarse conoscenze dell’epoca, come quando considera Houai-nan tseu (Huainanzi) un letterato, autore di un testo che porta il suo nome, mentre l’opera è stata scritta a più mani da un gruppo di eruditi sotto il patrocinio di Liu An (179-122 a.C.), principe di Huainan (si tratta dunque de I maestri di Huainan e non del Maestro Huainan). Alcune scelte denotano appros-simazione, come quando traduce il binomio Tchong kuou (Zhongguo) “Confederazione cinese”, dandone una spiegazione ingarbugliata in nota; in realtà, il termine significa “il regno al centro” del mondo civile (tianxia “ciò che è sotto il cielo”) e indica l’area geografica, a lungo ritenuta la culla della civiltà, che per otto secoli fu sede del potere politico-religioso e del tempio ancestrale della casa regnante Zhou. Un esempio di errata interpretazione del testo può essere invece la traduzione del passo del Lüshi chunqiu (Primavere e Autunni del Signor Lü) che recita: “Colui che ha ottenuto la virtù (Tao) del Cielo è sovrano; colui che ha ottenuto la Virtù della Terra è ministro”. L’espressione “ottenere la virtù (Tao) del Cielo” traduce de tian zhi dao, dove de “ottenere” significa “comprendere a fondo, impadronirsi (di un’idea, di una tecnica, ecc.)”, mentre dao (traslitterato Tao) indica qui il modus operandi (la Via) del Cielo (tian), la massima divinità, e non può certo essere confuso con la “Virtù”, concetto per il quale esiste un’altra parola, che indica le “qualità naturali e morali” che il Cielo infonde nei saggi e nei sovrani illuminati, rendendoli “virtuosi”. La traduzione corretta è dunque: “Colui che ben comprende la Via del Cielo è sovrano; colui che ben comprende la Via della Terra è ministro”. Si tratta di una differenza di non poco conto, che induce a interpretazioni fuorvianti.

Errori come questi non sono infrequenti, tanto che nel 1994 il sinologo francese Rémi Mathieu ha composto un saggio critico di una cinquantina di pagine in occasione della riedizione, finalmente riveduta e corretta dopo due ristampe anastatiche (1959, 1982), di Danses e légendes per la collana “Orientales” della Presses Universitaires de France (PUF) di Parigi. La nuova edizione, riproposta nel format originale, include all’inizio una prefazione di Henri Maspero e alla fine il dettagliato saggio di Mathieu, che dopo aver brevemente illustrato le opere di Granet, il contesto storico in cui egli si trovò a operare e il suo contributo allo studio della civiltà cinese antica, chiosa le affermazioni di Granet considerate inesatte o dimostratesi col tempo infondate, emenda errori, imprecisioni e forzature, e fornisce un utile indice bibliografico delle numerose citazioni, anch’esse corrette o completate rispetto alle indicazioni originali. Peccato che Danze e leggende non abbia utilizzato per la traduzione questa edizione, che avrebbe reso più attuale anche il volume italiano. È una scelta in linea con la politica editoriale “conservatrice” di Adelphi che però, nel nostro caso almeno, penalizza l’opera, rendendola inaffidabile, e il lettore non specialista, a cui si chiedono conoscenze e doti intuitive rare da trovare.

Il lettore resterà affascinato dal susseguirsi di storie mirabolanti, ma avrà serie difficoltà a orientarsi tra personaggi reali e mitologici, luoghi e opere classiche, a causa anche del sistema di trascrizione adottato da Granet, che fu elaborato nel 1902 per l’École Française d’Extrême-Orient (ÉFEO) e uti-lizzato nella prima metà del Novecento quasi esclusivamente dai sinologi francesi. Da decenni si è affermato ovunque il sistema di trascrizione ufficiale cinese Hanyu pinyin, divenuto standard internazionale. Non sarà semplice riconoscere, ad esempio, il grande filosofo daoista Zhuangzi, trascritto Tchouang-Tseu da Granet. La tabella di conversione da un sistema all’altro allegata a fine volume può risolvere il problema, ma consultarla rende la lettura alquanto ardua e discontinua, essendo centinaia, se non migliaia, i nomi presenti nel testo. Forse fa parte dell’impegno che Granet riteneva necessario per affrontare un’opera di questa complessità, la cui lettura richiede un “costante sforzo di memoria che esige, per chi vuole seguirlo, uno sviluppo graduale”. Allettandolo però con una promessa: “è alla fatica di un’ascensione che invito il lettore. Solo a fine giornata gli apparirà il paesaggio. Scoprirà la strada e le sue ragioni. Scorgerà, nella visione d’insieme, i luoghi che gli ho fatto attraversare, con grandi deviazioni o robusti tornanti, in un cammino oscuro e ingrato. Allora, probabilmente, le impressioni raccolte nel corso dell’ascesa sembreranno arricchire di valori precisi lo spettacolo che si offre dalla cima”.

 

Maurizio SCARPARI

(in collaborazione con www.inchiestaonline.it, a cura di Amina Crisma)

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