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Mancuso,I quattro maestri.Confucio e etica interculturale

di AMINA CRISMA

(in collaborazione con www.inchiestaonline.it)

Amina Crisma: I quattro maestri di Vito Mancuso. Confucio e la ricerca di un consenso etico tra culture.

| 16 Dicembre 2020 | Comments (0)

 

I quattro maestri di Vito Mancuso: Confucio e la ricerca di un consenso etico fra culture.

Ispirandosi a Karl Jaspers, il libro di Vito Mancuso I quattro maestri Garzanti 2020) su Socrate, Buddha, Confucio, Gesù proponeuna riflessione sul magistero di queste quattro figure fondatrici in una prospettiva che ne sottolinea una sostanziale convergenza, e ne prefigura una possibile “fusione di orizzonti”.

I quattro maestri, il libro di Vito Mancuso recentemente uscito da Garzanti (novembre 2020),esplicitamente riprende una prospettiva delineata in una parte di un’opera del 1957 di Karl Jaspers, I grandi filosofi, che qualche anno fa, in una collana diretta da lui e da Elido Fazi, è stata presentata al lettore italiano come testo autonomo: Socrate, Buddha, Confucio, Gesù. Le personalità decisive(2013).1 Proponendo tale confronto, Jaspers ne sottolineava in pagine suggestive la pregnanza del tutto attuale:

“La realtà storica di questi grandi è avvertibile mirando alla potenza straordinaria esercitata dal loro essere…essi sono ancora visibili perché continuano ad operare ben al di là delle chiese e delle scuole sorte nel loro nome; la loro storicità e unicità può inserirsi soltanto nella storicità universale dell’essere umano”, e così dunque importa “determinarne le caratteristiche comuni, nelle quali si afferma allo stesso tempo la loro differenza”.

E ciò che li accomuna, al di là della loro differenza, è che “come i profeti, essi conoscono la solitudine, la tranquillità, la luce che si ottiene nella meditazione. Ma sono profeti in un senso più grande: qualcosa in essi si è lacerato. Il mondo non è in ordine. Si sente e si esige una trasformazione radicale. Essi sono presi e noi non sappiamo da che. Dicono ciò che tuttavia non si può esprimere adeguatamente (…) Irrompono attraverso le consuetudini, le verità comunemente ammesse, il semplice oggetto di pensiero. Creano uno spazio nuovo con possibilità nuove e lo popolano di tentativi che non vengono mai portati a compimento definitivo”.

Richiamandosi dichiaratamente a tale prospettiva, Vito Mancuso la sviluppa nel suo volume procedendo a un’articolata disamina e a un’esposizione complessiva del magistero  e dell’esemplarità di ciascuna di queste quattro figure fondatrici, caratterizzando ciascuna in un ruolo specifico –di educatore, di medico, di politico, di profeta –che viene infine a convergere nella sezione conclusiva, intitolata Il quinto maestro, ossia “il maestro interiore”costituito dalla coscienza di ognuno:

“I quattro maestri nel loro insieme prefigurano un itinerario.(…) Socrate fu un educatore il cui obiettivo era il singolo individuo in quanto produttore di pensiero e di autenticità esistenziale. (…) Il Buddha fu un medico il cui obiettivo era la guarigione del singolo individuo per strapparlo alla ruota del divenire. (…) Confucio fu un politico il cui obiettivo era la cura dei legami che uniscono gli esseri umani in un sistema coeso al fine di generare armonia. (….) Gesù fu un profeta il cui obiettivo era l’annuncio di un nuovo statuto del mondo e del cambiamento possibile per cogliere la vita nel suo volto più vero. Nella nostra esistenza tutti abbiamo bisogno di educazione, di guarigione, di armonia dei rapporti e di speranza in un mondo più giusto, ma quello che in ogni caso è essenziale è capire qual è di volta in volta il bisogno effettivo della nostra interiorità per raggiungere la pace interiore e, almeno qualche volta, anche la felicità”.

Desisto comunque da ogni improbabile tentativo ulteriore di riassumere i contenuti delle quasi cinquecento pagine di questo volume, che potrebbe rischiare di banalizzarli, e rispetto ai quali in ogni caso ciascun lettore è ovviamente in grado di districarsi da sé (l’autore stesso provvede a offrirne una sintesi efficace in una serie di conversazioni su Uomini e profeti di RadioTre). Da parte mia, mi sembra più utile attirare l’attenzione su quello che, dal mio punto di vista, è l’orizzonte globale che il libro addita: la ricerca di un consenso etico fra culture, che in questo lavoro, fra l’altro, registra una significativa espansione dell’interesse per le tradizioni orientali già in qualche misura percepibile fin da L’anima e il suo destino (2007)2, e che altrove Vito Mancuso ha enunciato, richiamando intense parole di Pavel Florenskij, come dimensione ovunque e da sempre presente:

“l’autentico concetto di verità (..) ben al di là di identificarsi con la sola esattezza, viene a coincidere con il bene. Con le parole di Florenskij: «La verità era stata sempre data agli uomini, e non era frutto dello studio di un qualche libro, non era una struttura razionale, bensì quanto di più profondov’èdentro di noi: essa è ciò di cui viviamo, che respiriamo, ciò di cui ci cibiamo». La verità è la vita buona; la verità è la libertà che fa il bene.”3

Al di là di differenti linguaggi e di differenti narrazioni, la convergenza delle grandi tradizioni spirituali dell’umanità intorno a un nucleo fondamentale –di eminente, straordinaria semplicità -di idee condivise che orientano i comportamenti concreti, è un dato incontestabile che emerge dalle fonti con icastica nettezza: basti pensare alla memorabile formulazione dei Dialoghi di Confucio:“Il senso dell’umanità (ren) è amare gli esseri umani (ai ren)”.4

Questa fondamentale concordia della sapienza antica, che ben coglieva, fra l’altro, Lev Tolstoj,e che ora più che mai è opportuno ribadire, a fronte delle chiassose retoriche degli sciovinismi e degli essenzialismi culturali vecchi e nuovi, e attualmente più che mai imperversanti, è da tempo oggetto di una riflessione che ha avuto ed ha vari promotori e protagonisti, e che siè andata e si va svolgendo in vari luoghi, fra Oriente e Occidente.5

In particolare, vi ha dedicato fin dagli anni Novanta pagine seminali, che oggi e sempre converrebbe riaprire, un maestro di interculturalità amato ed ammirato da Vito Mancuso, PierCesare Bori (Per un consenso etico fra culture,1991).6 Nella sua prospettiva, sulle orme di Simone Weil, si disegna un “universalismo come pluralità delle vie”, in cui si dà spazio simultaneamente sia a ciò che accomuna sia a ciò che differenzia  i diversi discorsi, perché non si tratta né di negare le differenze entro una generale uniformità che ne ignori e ne cancelli le corpose e concrete specificità, né di enfatizzare queste ultime come dati assoluti, reciprocamente incomunicanti, impermeabili, non dialettizzabili.7 Si tratta invece di pensare il destino della Terra, come proponeva Hannah Arendt, come universalità e insieme come pluralità irriducibile: una pluralità che non di rado attraversa persino l’insegnamento dei singoli maestri, configurandolo non come realtà statica e univoca, ma come dinamico campo di tensioni fra istanze diverse.8

Così, ad esempio, nel magistero di Confucio si può cogliere, accanto a un’energica e ben nota istanza ordinatrice, la presenza di un sorprendente tratto di imprevedibilità anticonformista che non di rado addirittura sgomenta i suoi discepoli, come hanno rilevato nei loro attenti studi Jean Levi e Simon Leys; nei suoi Dialoghi, alle celeberrime prescrizioni intorno al dovere di obbedienza si affiancano le esortazioni (assai meno note, e certamente non enfatizzate dalle attuali rivisitazioni ufficiali in chiave autoritaria del pensiero confuciano, ma altrettanto energiche e vibranti nelle fonti antiche) a praticare il dovere di rimostranza, nei confronti di un potere sovrano che venga meno al suo compito di dare attuazione al senso dell’umanità e della giustizia (renyi): un versante, questo, che in particolare il pensiero di Mencio, il maggiore e più fedele interprete di Confucio, si incarica compiutamente di tematizzare.9

A quanto pare, non è certo la cognizione di cosa sia il bene a far difetto agli esseri umani, di ogni tempo e di ogni latitudine; sono, semmai, la capacità e la volontà di perseguirlo a rivelarsi quanto mai labili e incerte, e a renderlo, così, fragile e vulnerabile, come ci ricorda un pregnante titolo di Martha Nussbaum (La fragilità del bene, 1996).10

Anche su quest’aspetto, il pensiero confuciano rivela una propria caratteristica e peculiare misura, in quanto se da una parte afferma energicamente la propria fede incrollabile nella capacità dell’uomo di perfezionarsi incessantemente, dall’altra ne considera assai realisticamente i limiti, le concrete debolezze, le pulsioni aggressive, gli istinti egoistici: esemplare, in questo senso, il trattato sulla natura dell’uomo di Xunzi, del III secolo a.C..11

E così, sulle tracce delle considerazioni sulla realtà effettuale della natura umana di questo maestro confuciano vissuto all’alba dell’impero, non addebiteremo a delle teorie le ragioni dei nostri mali 12, quanto piuttosto a una prassi, individuale e collettiva, da riformulare in adesione a un ordinamento del tianxia, ossia di “tutto quanto sta sotto il cielo”, che cancelli la sopraffazione e la violenza e si ispiri al senso dell’umanità e della giustizia (renyi).

Nel pensiero cinese dell’età assiale, la dimensione etica è aspirazione a una santità interiore (neisheng) e a una sovrumana, numinosa chiaroveggenza (shenming) che si traducono integralmente in “regalità esteriore” (waiwang) ossia in progetto politico di trasformazione del mondo.13

 

NOTE

1 Karl Jaspers (1957), Socrate, Buddha, Confucio, Gesù. Le personalità decisive, Fazi 2013.

2Vito Mancuso, L’anima e il suo destino,Raffaello Cortina 2007.

3Vito Mancuso,Rifondazione della fede, Mondadori 2005, p. 148.

4Lunyu 12.22. Cfr. Amina Crisma, Confucianesimo e taoismo, EMI, pp. 47 sgg.

5Cfr. Amina Crisma, “Umanità nelle tradizioni di pensiero cinesi”, Parolechiave57/2017, pp. 109-130.

6Pier Cesare Bori, Per un consenso etico fra culture, Marietti 1991. Sul magistero interculturale di Bori, si veda “PierCesare Bori e la rivista Inchiesta”, in www.inchiestaonline.it, che raccoglie scritti suoi e su di lui.

7Pier Cesare Bori, Universalismo come pluralità delle vie, Marietti 2004.

8Amina Crisma, “La prospettiva interculturale di Pier Cesare Bori”, Inchiesta 4 novembre 2020 www.inchiestaonline.it

9Amina Crisma, “Chi è oggi per noi Confucio? Interpretazioni a confronto”, in S. Pozzi (a cura di), Confucio re senza corona, O barra o 2011, pp. 71-136.
10Martha C. Nussbaum, La fragilità del bene, Il Mulino, 1996.
11Maurizio Scarpari, Xunzi e il problema del male, Cafoscarina 1997.
12In particolare, i nostri mali non mi sembrano ascrivibili al pensiero di Nietzsche, a cui nel libro di Vito Mancuso si accenna come “ispiratore dei nostri giorni assetati di violenza”, e che nella sua inquietudine profonda, oltre a intrattenere un ambivalente rapporto con il “Dioniso crocifisso”, rimane memorabile, paradossalmente, per quell’ultimo celeberrimo gesto “cristico” di solidarietà con una vittima, che sembra tratto da un romanzo di Dostoevskij: l’abbraccio al cavallo bastonato, il 3 gennaio 1889, a Torino, prima di sprofondare nella follia (cfr. Roberto Dionigi, Il doppio cervello di Nietzsche, Quodlibet 2000).
13Amina Crisma, Conflitto e armonia nel pensiero cinese dell’età classica, Unipress 2004. Ead., Meditazione taoista, RCS 2021 (in stampa).
AMINA CRISMA
(in collaborazione con www.inchiestaonline.it)

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