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di BRUNO GIORGINI
(in collaborazione con www.inchiestaonline.it)
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Nel corso del tempo, e con approssimazioni successive, ho raccolto molte storie e vicende dove L’Adria, ragazza ribelle comunista e libertaria, lotta e ama mentre l’Italia è oppressa dal regime fascista prima, nazifascista dopo. Operaia di famiglia proletaria antifascista anarchica e comunista, partecipa fin da giovanissima alla resistenza prima politica, quindi armata. La Resistenza e la guerra di Liberazione. Si trattava di narrazioni sparpagliate, frutto delle vicende di lotta e rivolta, nella mia famiglia pane e companatico quotidiani, che io bimbetto prima, adolescente poi, fino alla giovinezza, registravo nella mia memoria, a volte scrivendone dei rapidi appunti. L’Adria infatti, subito dopo la Liberazione, mi partorì dventando mia madre. Mentre mio padre comparve all’orizzonte soltanto nel 1952, riconoscendomi come figlio. Fino a allora risultavo figlio di NN (padre non noto), più o meno definito daila voce popolare “bastardo”, se non “figlio di puttana”, ma bonariamente. L’intrico si dipanò pian piano lungo molti anni durante i quali scopersi che il mio babbo, colui che mi aveva legalmente riconosciuto figlio, non era il mio genitore biologico. Indi leggendo un libro, “Quelli di Bulow”, mi imbattei in un mitico – fucilato scampò alla morte in modo quasi miracoloso – comandante partigiano “Bruno”nel nome di battaglia, al secolo Pietro Gaudenzi e, a colpo sicuro, mi dissi: ecco mio padre, acquietando il mio animo e cessando la mia tormentata ricerca.
Venne il momento in cui svelai, con toni più o meno drammatici, la scoperta delle mie origini alle persone più vicine, i miei cari come si suol dire, Adria compresa. Fu così che un giorno l’Adria suonò alla porta di casa a Bologna, mio figlio Francesco aveva tre anni, presentandomi “Bruno” alias Pietro, più o meno dicendo: sapete chi siete l’uno per l’altro. Pranzammo insieme a casa, e loro tornarono via a Forlì o Ravenna, non so. Fu la prima e ultima volta che lo vidi e gli strinsi la mano.
Riguardo al fatto che leggendo un libro io lo avessi individuato a colpo sicuro, uno psichiatra mio amico, Edelwaiss Cotti, disse tutto tranquillo: eh il sangue non è acqua. E con queste sagge parole concludo questo breve excursus nelle mie traversie personali, che però si lasciarono dietro una scia di scritti, ricordi, parole che a un certo punto maturarono fino a farsi libro, e romanzo. In tre redazioi. La prima è scritta a mano, la seconda con una macchina da scrivere Olivetti lettera 22, la terza al computer. Ma non pensavo di pubblicarlo. Era la mia storia! Non destinata a un pubblico. Però quando ormai vecchio, a settanta anni e passa, incontrai Amalia cui il libro non a caso è dedicato; lei lo lesse, statuì che era un capolavoro e non poteva restare rinchiuso in un cassetto, bensì doveva vedere la luce, venendo pubblicato. L’incontro con Antonio Bagnoli di Pendragon ha portato infine al libro attuale, ancora diverso dai primi tre che dicevo. Libro che ho presentato prima alla libreria Ubik di Bologna, ringraziando per la disponibilità a accogliermi, e recentemente a Modena presso il Centro Documentazione Donna. Con me Franca Ferrari dell’Associazione femminista Blu Bramante e Caterina Liotti, già Presidente del Centro, in una sequenza di botte e risposte di cui cerco di dare conto, parziale e assai incompleto, qui di seguito.
Comincia Franca Ferrari.:
“Il libro di Adria dalle belle caviglie, ribelle e antifascista perchè non può essere che così, cresciuta com’è ai valori anarchici e comunisti, il libro delle lotte, della clandestinità e degli scioperi, fino a Ravenna libera, si conclude con un lieto fine. La narrazione sulla resistenza è comunque una narrazione a lieto fine, di vincitori. Noi, i figli di Adria e delle partigiane e partigiani di allora, alla loro età, ci siamo trovati di fronte agli stessi fascisti, ancora tutti negli apparati dello Stato, e abbiamo visto scoppiare le bombe, la strategia della tensione l’hanno chiamata, bombe e bombe, ed anche nel quotidiano, girare per la città, partecipare a un corteo, potevano mettere in gioco la tua vita, che ti attaccasse qualche fascista o che la polizia ti sparasse addosso mentre si sfilava. Abbiamo fatto anche tante cose giuste, giuste anche oggi, ma la narrazione su di noi, su quel periodo, ed ovviamente non li sto paragonando, è una narrazione falsa, che copre di fango con le calunnie e le menzogne. Quando ci va bene, siamo i perdenti. Perchè questa narrazione insistentemente contro?”
Bruno Giorgini.
Comunque siamo in democrazia. Voglio dire che la strategia della tensione, come è stata chiamata, la strategia delle stragi, quelle tentate e quelle attuate, anche le più crudeli, penso alla strage della stazione di Bologna, non sono riuscite a ribaltare il quadro democratico e costituzionale della Repubblica. In questo senso anche noi abbiamo vinto. E ci sono state pure grandi riforme come quella delle pensioni, la costruzione del sistema sanitario nazionale, lo statuto dei diritti dei lavoratori, la liberalizzazione degli accessi all’università, l’attuazione dell’ordinamento regionale, eccetera. Se invece ci si riferisce alla rivoluzione e al comunismo, beh lì non abbiamo perso noi, piuttosto con la scoperta del gulag, direi che il comunismo si è suicidato.E non è che in Cina sia andata molto meglio. Nonostante le nostre speranze il dittatore Mao non è stato poi così diverso dal dittatore Stalin.
Ancora Franca
L’Adria, il nonno anarchico, le valli. Valli che tornerò a vedere dopo che me le hai raccontate con tanto affetto. Mi sembrano i simboli di un amore che per essere tale deve essere strettamente intrecciato alla libertà: è vero?
Bruno Giorgini
Non so se sia vero in generale. Certo era vero nella mia famiglia. Certo era vero per L’Adria, che pagò a caro prezzo la sua libertà. Per partorire questo figlio dell’ amore libero, questo figlio senza un padre ufficiale, seppure a Ravenna tutti sapessero, dovette abbandonare la città, andandosene in esilio a Cesena, una distanza per noi oggi infima ma a quei tempi abissale. Lì, a Cesena, una qualche domenica qua e là, arrivava Pietro e i tre, padre madre e figlio, potevano liberamente passeggiare lungo il Corso. Cosa che a Ravenna sarebbe stata impossibile.L’Adria era comunista, ma i comunisti non l’aiutarono. Anche per il Partito L’Adria era e fu una reietta.
Caterina Liotti
Quello che a me ha colpito di questo libro è l’intreccio tra le storie dei personaggi che lo animano, in una sapiente ricostruzione narrativa, che, tenendo come filo conduttore la partigiana Adria, ci conduce attraverso 50 anni di storia di una famiglia romagnola. Altro elemento che ho molto apprezzato i continui riferimenti alla donne e alloro ruolo nella società e questo lo si nota per ciascuna epoca affrontata nella narrazione Altro elemento che mi ha colpito è la rilevanza che la trama assegna agli eventi storici, a tanti eventi storici. E il legame tra le scelte personali e il destino delle comunità. Quando le storie sono storie di gente comune ci si domanda sempre se può valere la pena trasmetterne la memoria. Il libro è appena uscito. Come ti sei sentito a questo proposito quando hai messo la parola fine? Timoroso? Sicuro?
Bruno Giorgini
Tutte le mattine mi domando se questo mio romanzo sia un capolavoro o una ciofeca. A volte dico capolavoro, a volte ciofeca, e sempre mi pare a ragion veduta. Per la memoria. Io credo che, alla fin fine, la gente comune faccia la storia. Tra l’altro ce lo ha insegnato Elsa Morante scrivendo appunto “La Storia”, dove si racconta del piccolo Useppe con un mare di persone comuni che fanno la Storia. Aggiungo che il destino ha voluto che L’Adria si trovasse all’incrocio di grandi eventi, essendone protagonista. Penso per esempio alla cosidetta “battaglia delle valli”, quando circa ottocento partigiani armati alla bell’e meglio sconfissero sul campo una armata di tremila soldati tedeschi, mettendoli in fuga così liberando Ravenna. Fu un evento europeo, si parva licet un po’ come la battaglia di Stalingrado della Resistenza, insieme all’insurrezione del ghetto di Varsavia. E ancor oggi, al di là della retorica sui valorosi combattenti per la libertà, non si capisce come ci siano riusciti. Una leggenda e una specie di magia, eppure accadde. Machiavelli direbbe che la Fortuna, cioè il caso e l’intuizione, ebbe gran parte del merito.
Quella vittoria dei garibaldini ravennati comandati da Bulow fu una ventata d’orgoglio e ottimismo per tutto il partigianato italiano che qualcuno voleva mandare a casa in attesa di tempi migliori, quando le truppe alleate fossero arrivate a un tiro di schioppo.E invece.
Catrina Liotti
Qual è la parte che ti è costata di più in termini di ricerca storica, di approfondimenti? E quella a cui sei più affezionato..
Bruno Giorgini
Devo confessare di non avere svolto nessuna ricerca storica. Io volevo scrivere un romanzo, certo fondato su alcuni ricordi di eventi tramandati dall’Adria, ma laddove si aprivano dei vuoti che nuocevano alla fluidità della narrazione, li ho colmati inventando. Ovviamente facendo sì che le invenzioni fossero congruenti col contesto, e quindi se non vere, almeno verosimili. Per il resto sono affezionato a ogni parola, a ogni virgola, a ogni spazio, anche quelli vuoti, di questo libro, che vuole essere tra l’altro un dono all’Adria, un dono a colei che mi fu madre.
Infine Franca Ferrari mi scrive: dopo tu hai introdotto il tema della scrittura al femminile.
Volevo porre un problema. L’Adria è un libro dove si raccontano avventure, fatti, sentimenti, pensieri di una donna scritti e descritti da un uomo.
Essendo il linguaggio una forma di vita (Wittengstein), e avendo noi imparato che le forme di vita sono almeno due, quella femminile e quella maschile (in realtà molte più, ma mi si perdoni la semplificazione brutale), la lingua, lo stile di questo romanzo non è che introduce una discrasia tra il femminile, la donna protagonista, e il maschile, l’uomo che scrive? Oppure invece si realizza una armonia, sia pure parziale. Personalmente non lo so, però ho cercato quando mi era possibile, proprio di richiamare alla memoria non solo i fatti, ma il modo e le parole con cui L’Adria me li aveva detti.
BRUNO GIORGINI
(in collaborazione con www.inchiestaonline.it)