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di MAURIZIO SCARPARI
(da www.inchiestaonline.it 21 aprile 2022)
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La Cina è già qui è il titolo del nuovo libro di Giada Messetti (Mondadori), sinologa e giornalista. Nessun titolo potrebbe essere più azzeccato: la Cina è effettivamente già tra noi, non è più semplicemente “vicina”, come recitava uno slogan in voga in un tempo non troppo lontano. Semmai il punto è valutare in quale misura sia già tra noi, interrogandoci sulla reale consapevolezza dell’entità del fenomeno nel nostro paese.
L’autrice non affronta il tema illustrando dove e con quale portata la presenza cinese si manifesti concretamente, dà per scontato che la penetrazione sia già avvenuta. È il “già” più che il “qui” la parola cardine. La sua attenzione è rivolta a evidenziare, per quanto possibile in un volume divulgativo di 150 pagine, il gap culturale esistente tra due mondi diversi, nell’ottica di focalizzare un problema che ci trova perlopiù impreparati. La sua intenzione è offrire strumenti utili per comprendere le differenze tra la nostra cultura e la cultura cinese per migliorare la conoscenza reciproca al fine di costruire un proficuo rapporto di incontro e di dialogo, evitando così che le nostre valutazioni, spesso affrettate e superficiali, siano affidate a ignoranza e pregiudizi. Non si tratta di un invito a “rinunciare alla nostra identità né ai nostri valori, ma a sospendere per un attimo l’abitudine istintiva di giudicare con categorie occidentali comportamenti e modi di sentire che viaggiano su altri binari”. Si tratta di un obiettivo importante di cui mai, quanto ora, si è sentita la necessità. Il rischio che vedo, semmai, è che, nella necessità di comprendere le ragioni degli altri, si cada nella tentazione di sposare quelle ragioni in modo acritico o che si venga sopraffatti da un senso di inadeguatezza, al punto da non riuscire a elaborare un proprio giudizio autonomo.
Personalmente concordo con l’enunciato del titolo e apprezzo l’impostazione generale del volume, convinto che ci sia un considerevole e pericoloso ritardo nel tener conto dell’influenza e della presenza cinese nel nostro paese sia da parte della politica, dell’imprenditoria e della cultura, sia, più in generale, della gente. E sono d’accordo anche sulla necessità di agire, per quanto a ognuno sia possibile, gettando un ponte tra le due culture, dando così un senso concreto al mestiere di sinologo che, nell’era di Xi Jinping e soprattutto ora, vista la piega che la lotta per la supremazia globale va assumendo, non può più essere quello tradizionale, incentrato sull’erudizione.
Si pone comunque un interrogativo che non è possibile eludere a lungo: se è vero che la “Cina è già qui”, alla luce del ruolo di massima potenza che ha assunto nello scacchiere internazionale e degli interessi economici e commerciali che la legano all’Europa, agli Stati Uniti e alla Russia, perché mai in un momento storico così delicato come quello che stiamo vivendo è proprio la Cina la Grande Assente, non solo ai tavoli dei negoziati ma anche nel dibattito intellettuale e politico del nostro paese? Assente nel dibattito, ma non nell’azione diplomatica di seconda fila (la prima sembra non esistere proprio per la Cina), che è invece intensa e sembra non andare in direzione di una soluzione che porti a un cessate il fuoco, come ci si aspetterebbe da una nazione responsabile, la cui politica estera dovrebbe trarre ispirazione, negli intenti dei suoi teorici, dall’armonia e dalla ricerca di pace e stabilità per costruire una comunità dal futuro condiviso. Xi Jinping avrebbe potuto fare molto, se solo avesse voluto, visto il rapporto di “amicizia senza limiti” e “solido come la roccia”, i contratti miliardari e le ambizioni egemoniche che legano Cina e Russia e i suoi due leader. Invece ha preferito sostenere l’azione di Putin e fare propria la propaganda russa, concentrando i propri sforzi nell’alimentare il sentimento anti-occidentale all’interno del paese e nel tessere un fronte anti-occidentale tra le nazioni che per i motivi più vari (affinità ideologica, vicissitudini storiche, opportunismo politico o economico e altro ancora) imputano agli Stati Uniti e, più in generale all’Occidente, le cause delle loro difficoltà economiche, della loro arretratezza e della crescente povertà, che paradossalmente questa guerra sta alimentando, non certo attenuando. Ancora una volta si è voluto privilegiare l’approccio ideologico e strategico, condiviso da Mosca, accelerando quel processo avviato da tempo, finalizzato a destabilizzare le democrazie liberali e il loro modello di governance, ritenuto ormai in declino. La creazione di un nuovo assetto comporterà necessariamente una nazione leader e la Cina aspira a questo ruolo; resta da verificare, in una nuova alleanza a trazione cinese, quale potrà essere il ruolo della Russia, ma questa è questione che forse altri, e non Putin, si troveranno a definire.