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Quello che si può fare e quello che si deve evitare di fare.
Il Canada è tra le prime nazioni del mondo che prende atto di una problematica effettiva e prova a porvi rimedio in maniera razionale: il mondo occidentale sta invecchiando, la natalità si riduce anno dopo anno ed anche la possibilità di dare risposte al ricambio generazionale in maniera endogena. Un gatto che insegue la sua coda fino a cadere morto per l’incapacità manifesta di prenderla.
La mancanza di ricambio generazionale produce stasi delle idee, rallentamento economico, riduzione delle entrate nei conti pubblici degli stati, scarsità o azzeramento di risorse da dedicare ai nuovi bisogni: prima di tutto di welfare e salute, ma anche in altri settori (si pensi alla istruzione, alle politiche attive per il lavoro, alle nuove politiche energetiche ed industriali, eccetera).
Che fare dunque? Vi sono luoghi nei quali ancora si fanno figli e dove la natalità è sostenuta con un mix di politiche pubbliche. Ma nella maggior parte dei paesi, questo non basta. Tra questi il Canada che – con meno di 40 milioni di abitanti – conta attualmente una densità abitativa per chilometro quadrato tra le più basse al mondo.
Il Canada, tra i primi paesi, ha scelto apertamente una soluzione sostenuta anche dal presidente Trudeau, anche se forse attuata in modo un poco semplicistico: aumentare in maniera radicale l’ingresso di immigrati. Quest’anno il Canada lascerà entrare circa un milione di persone (fonte Bloomberg) e stima di proseguire a questo passo fino al 2050. Grazie al massiccio aumento di immigrati la popolazione del Canada sorpasserà quella dell’Italia, della Francia, del Regno Unito e della Germania, divenendo – in prospettiva – il secondo paese più popoloso del G7, secondo solo agli Stati Uniti. L’intento è quindi quello di garantirsi non solo il ricambio generazionale ma anche l’incremento a tassi elevati della popolazione attuale.
Potremmo chiederci: come sta andando per loro questa politica sull’immigrazione? È percorribile anche da noi? Se sì, a cosa dovremmo ispirarci e cosa invece dovremmo provare ad evitare?
Da una prima analisi emerge un impatto macroeconomico positivo: il Canada, secondo le previsioni del fondo monetario internazionale, sarà il paese del G7 a maggiore crescita nel biennio 2023/24, con una crescita media del 1.5% annuo. Questo anche a fronte di un settore commodity non in massimo spolvero e mostrando così la forza trainante di queste politiche migratorie.
Ma sarebbe possibile anche da noi un’operazione del genere? Tecnicamente certamente si, ma difficilmente il grado di accettazione della popolazione sarebbe simile. A fronte di un ingresso massiccio di persone e, per di più, di etnie diverse tra loro (18.5% di indiani, 8.9% di cinesi, 11.4% di filippini, 4.8% di siriani e 3% di nigeriani, oltre al rimanente gruppo proveniente dai quattro angoli del mondo) circa il 70% dei canadesi (fonte EISR) dice che gli immigrati in Canada non sono troppi. Questo non sorprende essendo il Canada, da decenni, il paese più tollerante del mondo.
Ma si potrebbe dire: facile, il Canada è enorme. Bene, proprio da questo si dovrebbe partire per evitare gli errori fatti dai nostri amici canadesi prendendo invece lezioni per le parti buone dei loro atteggiamenti e comportamenti.
Le lezioni che dovremmo prendere sono innanzitutto culturali. Se l’immigrazione programmata non è culturalmente un problema, evidentemente, questo non si trasformerà in una questione elettorale propagandistica nelle disponibilità del primo demagogo razzista che passa per strada.
Ma le lezioni che ci dovrebbero insegnare cosa non fare sono, forse, addirittura più importanti. Il Canada, essendo un paese enorme, aveva appunto lanciato questa sua campagna di accoglimento dei migranti, per l’appunto, al fine di ripopolare le aree più disabitate. Il problema è che, come in tutti i paesi del mondo, i migliori lavori e le migliori prospettive di vita sono nelle città. Quest’ondata ha quindi prodotto un boom edilizio come non se ne vedevano da decenni. Noi Italiani, dovremmo tenere ben a mente questa lezione. Nessuno vorrà andare mai a ripopolare paesini spersi nelle montagne o nell’entroterra se non si creeranno le condizioni per renderli attrattivi sia per i residenti attuali che per i nuovi venuti.
Un’altra lezione che dovremo tenere bene a mente è che, queste persone, cercheranno di svolgere mestieri che gli vengono più facili a meno che non si creino percorsi per orientarli nei settori a più alta domanda di nuova occupazione, quindi non solo nei settori che richiedono elevata manualità, ma anche nei settori informatico, matematico, neuroscienze, ricerca.
Questo porterebbe ad una diminuzione immediata delle paghe nei settori facilmente aggredibili comportando una guerra tra ultimi che, in un paese come il nostro, non farebbe che aumentare il razzismo.
Cercando di riassumere, si può dire che la lezione canadese ci insegna una cosa: recuperare l’inverno demografico è possibile. Bisognerà però avere una forte volontà di intervento, una capacità organizzativa ed un’intelligenza prospettica mescolata ad una feroce battaglia culturale. Nessuno di questi elementi sembra presente nel dibattito pubblico. Sarebbe arrivato il momento di tentare di portarceli se vogliamo sopravvivere come paese prospero nei prossimi decenni.
Milano 26 giugno 2023