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Vamos a la plaja e la sostenibilità

Recentemente ho avuto modo di partecipare a una interessante iniziativa pubblica del Comune di Sovicille (Si) nella quale sono stati presentati alcuni risultati di una collaborazione con il Dipartimento di Scienze Fisiche della Terra e dell’Ambiente Ecodynamics Group. il Comune di Sovicille è divenuto il caso studio della tesi di laurea sperimentale del dottore in Economia per l’Ambiente e la Sostenibilità Riccardo Sarti, dal titolo “Valutazione e monitoraggio degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) a livello comunale: il caso studio del Comune di Sovicille”. Si tratta della prima esperienza per un Comune in Italia d’implementazione di alcuni degli obiettivi di sostenibilità sanciti dall’ONU.

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Tornato a casa ripensavo all’ iniziativa quando mi ha colpito una trasmissione di musica alla radio dove si  analizzava il tormentone estivo del 1983 del gruppo musicale dei Righeira “Vamos a la Playa”  [1]

 

Mi sono chiesto che hanno a che vedere gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) dell’ONU, varati nel 2015, con il tormentone del gruppo Righeira?  Apparentemente nulla, la canzone affronta ironicamente il tema scottante del conflitto nucleare, gli SDGs sono un tentativo di governare lo sviluppo mondiale, due realtà molto diverse ma accomunate  dall’ incertezza sul futuro.

 

Il tormentone estivo degli anni ’80 secondo quanto afferma Stefano Righi del gruppo Righeira “era la canzone da spiaggia post-atomica,(…) si avvertiva questa minaccia tra Unione Sovietica e Stati Uniti. C’era un po’ questa spada di Damocle che sembrava incombere su tutti noi. Non l’avvertivo ma scrissi questa canzone che parlava appunto di bombe che esplodevano, di radiazioni che invece di abbronzare normalmente abbronzavano di blu, ma tanto chi se ne frega, ci sarà il mare fluorescente e non ci saranno più i pesci puzzolenti. Sarà fighissimo, dei colori nuovi”.

 

Ai primi anni ’80 permaneva  questo senso di precarietà e di tensione nei rapporti geopolitici internazionali che aveva avuto origine nella crisi dei missili di Cuba di inizio anni ’60. Ne era seguito un lungo periodo di guerra fredda USA – URSS parzialmente risolto con la caduta del muro di Berlino nel novembre ’89 e con l’entrata della Cina nel WTO nel dicembre 2001, voluta dal presidente Clinton e dai repubblicani USA.

Come noto l’uno e l’altro evento dettero luogo ad un allargamento  ad est dei confini europei, il ritorno della Russia nell’alveo economico occidentale e l’avvio di un processo di globalizzazione imperniato sulla liberalizzazione dei movimenti di capitali e merci (marginale di persone).

 

Il risultato nel tempo è stato un forte incremento degli scambi commerciali internazionali di cui hanno particolarmente beneficiato alcune economie emergenti. Negli ultimi vent’anni, i paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) sono cresciuti a una velocità media-annua ben superiore rispetto al sistema economico occidentale, rappresentato principalmente da Europa e Stati Uniti. Dati recenti indicano come tali paesi comprendano oltre il 41% della popolazione del globo, il 24% del PIL mondiale e circa il 16% del commercio internazionale.

 

Però, se da un lato la globalizzazione ha assicurato migliori prospettive economiche  ad alcuni paesi come Cina e India, allo stesso tempo ha significato un indebolimento strutturale delle economie occidentali a seguito del fenomeno della delocalizzazione produttiva  e dei vantaggi comparati di cui godono i paesi terzi. Alla lunga per i paesi avanzati i costi della globalizzazione in termini di tenuta economica  e occupazionale hanno superato i benefici connessi all’ ampliamento dei mercati di sbocco.

 

La reazione a questo stato di cose è stata un ritorno al protezionismo (in USA con Trump) alla regionalizzazione, alla chiusura nazionalista (Brexit in UK) e una potenziale separazione tra Occidente e Oriente. Oggi l’economia globale è organizzata intorno a tre grandi blocchi (USA, Europa e BRICS). La guerra in Ucraina e la conseguente crisi energetica/alimentare hanno accentuato tale fenomeno con forti tensioni tra i blocchi,

 

Gli organismi istituzionali internazionali, dal canto loro, negli anni dello sviluppo globale, hanno mostrato una crescente preoccupazione circa la sostenibilità economico, sociale e ambientale di uno sviluppo ispirato unicamente alla deregolamentazione e al neoliberismo di fronte a progressivo peggioramento della crisi climatica.

 

Tali organismi, in primis l’ONU, hanno elaborato per fasi successive un modello di sviluppo globale che promuovesse il benessere umano, proteggesse l’ambiente e i diritti delle persone. E’ stato coniato il termine sostenibilità inteso come limite al soddisfacimento dei bisogni di oggi che non precluda quello delle generazioni future. Ciò ha portato nel 2015  l’Assemblea dell’ONU ad approvare l’agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile i cui elementi essenziali sono costituiti da 17 obiettivi e 169 traguardi (v.sotto).[2]

 

L’Agenda fissa alcune linee guida d’intervento, dal 2015 al 2030, cui dovrebbero attenersi sia le autorità centrali che le amministrazioni locali [3] sia nei paesi emergenti che in quelli avanzati. Come stabilisce il testo della risoluzione ONU “ questa Agenda è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità. Essa persegue inoltre il rafforzamento della pace universale in una maggiore libertà. Riconosciamo che sradicare la povertà in tutte le sue forme e dimensioni, inclusa la povertà estrema, è la più grande sfida globale ed un requisito indispensabile per lo sviluppo sostenibile (cit,)”

 

Un interessante e meritorio intervento che fissa indiscutibili e per ora iipotetici obiettivi di trasformazione del mondo, ma rischia di rimanere un ambizioso progetto di speculazione teorica. Gli interessi economici e di prevaricazione di un blocco geopolitico sull’altro, finalizzati oggi al controllo del mercato delle risorse (idrocarburi, terre rare) e della produzione di semiconduttori, generano conflitti in varie parti del mondo,  ponendo  in secondo piano il valore delle persone, del pianeta e della prosperità. Secondo  la ong International Crisis Group attualmente ci sono almeno dieci situazioni di conflitto da monitorare a livello mondiale[4], scenario vantaggioso per  l’industria delle armi in continua crescita .[5]

 

L’uso della parola sostenibilità è ricorrente nelle campagne pubblicitarie ma di fatto nasconde ciò che avviene nella realtà: difendere con ogni mezzo la fortezza capitalistica.

 

Lo sviluppo sostenibile non trova alcun elemento di comunanza con la guerra e la distruzione dell’ambiente. Le nuove generazioni sono consapevoli del rischio che corrono mentre  i padri utilizzano parte dei fondi a loro destinati (next generation EU) per la produzione di armamenti.

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Nonostante i tentativi degli organismi internazionali di progettare uno sviluppo globale, fondato sul partenariato collettivo di valori etici ed umani fortemente condivisi, in questa fase storica prevale un pensiero debole ed egoistico di breve periodo che mina le prospettive delle generazioni future, genera vecchie e nuove paure collettive e speriamo non riporti ciclicamente in auge il tormentone dei  Righeira.

di Luciano Fiordoni

Sovicille 12 giugno 2023

 

 

[1]  (…) Vamos a la playa
La bomba estalló
Las radiaciones tostan
Y matizan de azul

 

[2] Per maggiori informazioni vedi studio Unisi Ecodynamics group   https://www.ecodynamics.unisi.it/sdgs-obiettivi-di-sviluppo-sostenibile/  e la Risoluzione dell’Assemblea Generale  ONU del 25 settembre 2015 https://unric.org/it/wp-content/uploads/sites/3/2019/11/Agenda-2030-Onu-italia.pdf

[3] Nel Sito del Comune di Sovicille viene riportata l’iniziativa attuata in collaborazione con l’università di Siena

[4] Ucraina, Armenia e Azerbaigian, Iran, Yemen, Etiopia, Repubblica Democratica del Congo e Grandi Laghi, Sahel, Haiti, Pakistan, Taiwan.

[5]  Nel 2022 le principali aziende statunitensi hanno venduto materiale bellico per un totale di 300 miliardi di dollari, pari al 51% del giro d’affari delle prime 100 multinazionali produttori di armi ( dati diffusi il 5 dicembre 2022 dal Sipri, l’Istituto indipendente di ricerca sulla pace di Stoccolma)

 

 

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