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Mario Agostinelli: In ricordo di Vittorio Capecchi

di MARIO AGOSTINELLI

(in collaborazione con www.inchiestaonline.it)

Mario Agostinelli: In ricordo di Vittorio Capecchi

*

 Carissime/i

 è improvvisamente mancato Vittorio Capecchi, straordinario sociologo, professore emerito all’Università di Bologna, direttore di “Inchiesta”, mite compagno di viaggio di molti di noi, persona di un’umanità straordinaria, intransigentemente rigorosa ed attraente. Aggiungo qui un mio ricordo pieno della tristezza di veder scomparire punti di riferimento sempre più irripetibili, almeno nella crisi che stiamo attraversando. Un forte forte abbraccio.

Mario

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In ricordo di Vittorio Capecchi

di Mario Agostinelli

Della sua ricca e lunga vita, disseminata di intense relazioni, conoscenze le più ampie ed esperienze anche internazionali, pochi ricordano che Vittorio fu da subito – giovanissimo – un matematico eccellente, tanto da essere assunto come assistente alla facoltà di sociologia immediatamente dopo la laurea, per il suo interesse anticipatore verso l’applicazione dei metodi matematici più complessi e ancora in fase di sperimentazione in contesti interdisciplinari. Una propensione, la sua, che mi rimanda all’ultimo suo dono, ricevuto nel suo salotto di casa disordinatissimo, solo a fine dello scorso Maggio: un ricchissimo volume dal titolo l’”Arte della Previsione” da lui curato per “Quality and Quantity, International Journal of Methodology” sull’intelligenza artificiale. Un approccio originale, in cui metteva in relazione critica alcuni algoritmi recentissimi con l’arte di anticipare il futuro della tradizione millenaria cinese dell’Yijng. Secondo Vittorio, prevedere significa tradurre lo spazio in tempo e questa convinzione – di una dinamica proiezione del presente che si arricchisce della memoria – l’ha portato ad indagare in profondità ogni aspetto di novità che la società presentava, sfuggendo al “presentismo” dentro cui la politica attuale onnubila e disattende le speranze di un futuro migliore.

Non era solo intelligentemente curioso: era un intellettuale che la classe operaia e la sinistra più innovativa rimpiangeranno a lungo per quel tratto di orgoglio di cui si potevano fregiare, non solo per le sue innate simpatie, ma per essere state l’oggetto privilegiato delle sue indagini, così attente all’attuazione dei valori della Costituzione oltre i cancelli delle fabbriche e le vetrate degli uffici. Il metodo dell’inchiesta (così si chiamerà anche la Rivista da lui fondata) corrispondeva al bisogno di praticare nella realtà valori in continuo avanzamento, prodotti di una dinamica sociale resa cosciente dalla diffusione dell’informazione, delle conoscenze, delle pratiche di lotta non violente.  Aveva fin dall’inizio scelto il lavoro e il sindacato in un mondo accademico che a Bologna sapeva amplificare il consenso alle sue intuizioni originali. Non gli bastava osservare, bensì “perturbare” con l’osservazione una realtà in progressivo decadimento, verso cui invece Vittorio mostrava tutta la validità e la progressività di una cultura operaia, studentesca e popolare tesa al cambiamento.

Noto a livello mondiale per la sua capacità di intersecare anche le culture meno omogenee, dirigeva più riviste internazionali, ma è stato profondamente amato soprattutto da generazioni di lavoratrici e lavoratori, che hanno trovato in “Inchiesta” – una rivista con tiratura di massa e vastissime collaborazioni  – uno spazio di confronto dedicato a loro, al loro apprendimento, alla possibilità di liberarsi dal vincolo di un lavoro privato di autonomia e di libertà,  per dotarsi di una dimensione interdisciplinare con cui intervenire contrattando l’organizzazione  del lavoro, la salute e, da ultimo, allargando il campo all’emergenza del cambiamento climatico.

L’esperienza delle 150 ore deve molto a Vittorio e alla sua compagna di allora Adele, quando entrambi peregrinavano tra le sedi sindacali, tenevano lezioni, raccoglievano e scrivevano dispense, redigevano bibliografie, ricostruivano assieme ai delegati le innovazioni nei processi produttivi. Era la fase in cui i metalmeccanici, i chimici ed i tessili superavano la divisione normativa tra operai e impiegati e, quindi, la scuola si riconnetteva al lavoro ed il lavoro allo studio.

Amato da compagne forti e circondato da figli e nipoti amorevoli, ha fatto della sua abitazione un luogo di ospitalità e di discussione, sempre ricambiato da affetti e amicizie forti: Adele, Tiziano, Francesco, Amina, tra quelli che io conosco bene. La sua Bologna lo ricorderà non solo con gratitudine, ma anche per la profondità con cui lui la abitava “corposamente”: da quella piazza delle Sette Chiese dove bastava uno sguardo per incontrare amici e compagne e compagni di battaglie solidali.

Tra i ricordi degli ultimi tempi, sempre sprofondato in una vecchia poltrona da cui spuntavano le sue enormi scarpe, mostrava il suo interesse e apprezzamento per l’attenzione alla cura della Natura e della Terra che da Bergoglio passava a Zuppi, in una Emilia squassata da autentiche catastrofi climatiche, mentre lui si allontanava per sempre. Ricordo sue osservazioni sulla “evoluzione biologica cooperativa” e su quanto “la biodiversità dia ragione alla creatività della natura e del suo equilibrio”.

Penso che Vittorio stesse ai bordi del sacro quando cercava una conoscenza compiuta del vivente e del soggetto sociale: a questa visione ha contribuito certamente negli ultimi anni la voce di Amina, così impregnata del pensiero e della antroposofia orientale.   Un abbraccio forte, con un ricordo che vede Vittorio continuare la vita in un altro modo.

 

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