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Luca Crisma: La Cina al centro di Maurizio Scarpari, presentazione del 10 novembre a Bologna
Venerdì 10 novembre 2023 alla libreria Feltrinelli di Bologna ha avuto luogo la presentazione del libro edita da Il Mulino La Cina al centro. Ideologia imperiale e disordine mondiale di Maurizio Scarpari, che è stato a lungo docente di Lingua cinese classica all’Università Ca’ Foscari di Venezia, ed è ben noto ai lettori di Inchiesta per i suoi numerosi contributi alla nostra rivista (ne abbiamo pubblicato un’anticipazione su Inchiestaonline il 30 ottobre). L’incontro è stato moderato da Amina Crisma (Università di Bologna, coordinatrice dell’Osservatorio Cina di Inchiesta) in un’interlocuzione con l’autore e con Vittorio Emanuele Parsi (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano).
Dopo aver introdotto gli ospiti, Amina Crisma ha presentato La Cina al centro come un libro di bruciante attualità, distante dall’inerzia mediatica che nel rappresentare la Cina spesso riposa su stereotipie. Esso ci mostra che l’esercizio del pensiero è precisamente l’atto di operare distinzioni (come asseriva il grande confuciano Xunzi nel III secolo a.C.). Una sua caratteristica importante è quella di essere scritto da un “classicista” (termine con cui i confuciani stessi si autodefinivano), ed è animato dalla convinzione che occorra rileggere il passato per comprendere il presente: così il volume restituisce una dimensione di lunga durata alla riattualizzazione dell’impero operata da Xi Jinping. Quella cinese è una cultura antichissima che continua ad esser poco nota nella sua complessità, nel suo straordinario vigore e nella sua concreta articolazione mel nostro paese, che spesso preferisce invece operarne una mitizzazione, effigiandola come il presunto luogo di una sempiterna armonia.
Un secolo fa Owen Lattimore nello Xinjiang osservava con ammirazione la spietata energia di un pugno di funzionari cinesi che erano capaci di amministrare la maggioranza turcofona presente nella regione, e vi scorgeva l’espressione di una volontà di potenza che la Cina ha sempre manifestato nel corso della sua lunghissima storia.
La premessa del libro racconta l’antefatto di quest’opera: in un volume precedente, Ritorno a Confucio, del 2015, l’autore aveva espresso la speranza che la riscoperta dell’umanesimo confuciano producesse un ammorbidimento del regime nella RPC: tale speranza è andata disattesa, e al contrario con Xi Jinping il controllo autoritario si è in crescente misura inasprito.
Sempre nella prefazione si ricorda inoltre il contributo offerto al maturare di tale consapevolezza da Gianni Sofri, e dalla rivista Inchiesta, il cui fondatore e direttore Vittorio Capecchi ha ospitato a tale proposito sulle sue pagine un dibattito vasto e aperto, resistendo ai tentativi di tacitare le voci critiche nei confronti del governo della RPC. Va rammentato come entrambi siano accomunati da un’esperienza di lunga data della realtà cinese: risalgono all’inizio degli anni Settanta i loro pionieristici viaggi in Cina, alla quale già allora guardavano con occhi penetranti, senza farsi frastornare dagli schemi e dagli slogan allora correnti.
Ha preso quindi la parola Vittorio Emanuele Parsi, asserendo che la Cina, per coloro che si occupano di relazioni internazionali, è sempre più “l’elefante nel corridoio”, e dichiarando che il libro di Scarpari è il migliore da lui letto a tale proposito. Spesso i riferimenti all’”impero” sono una semplificazione abusata nel discorso politico internazionale; invece questo volume rende comprensibile ciò che questo termine significa rispetto alla Cina spostandosi indietro nel tempo fino al IX secolo a.C., e muovendosi tra i classici della fondazione del pensiero cinese.
Questo libro aiuta a comprendere come mai il Partito Comunista Cinese non abbia mai detto nulla rispetto a Xi Jinping e ad operazioni quali l’abolizione del vincolo dei due mandati e l’aver mandato in soffitta la costituzione di Deng Xiaoping: Xi non si è rifatto a Mao ma ad una tradizione bimillenaria. Ne emerge che il tempo sembra non passare mai: succedono cose nuove ma è come se fossero lì da sempre, e ciò ha reso indolore la violenza effettuata nei confronti della costituzione cinese.
Il libro, secondo Parsi, permette inoltre di cogliere al meglio la questione della polisemia: vi sono variazioni di significato usate in modo accorto, e sulle sfumature e le ambiguità il governo cinese trova spazi per agire. Un esempio significativo di confronto tra un massimo della maestria (cinese) e un eccesso di faciloneria (da parte italiana) si è avuto con il Memorandum sulla Via della Seta.
La Cina al centro, egli ha sottolineato, è scritto da un autore che ama la cultura cinese ma non ne è irretito. E la sua esposizione della cultura classica è completa e approfondita, ma mai in vista di un’esibizione fine a sé stessa, bensì in una misura funzionale alla logica del libro. Un libro che terrà sempre con sé perché di Cina, teme, si dovrà parlare a lungo.
Ha quindi preso la parola l’autore, sottolineando che questo libro chiude un capitolo iniziato da Ritorno a Confucio, da lui scritto nel 2015, quando sperava davvero che la riscoperta del confucianesimo potesse portare ad un sistema nuovo in Cina, simile a quello che si vede a Taiwan, Corea del Sud e Giappone. Questo libro a suo avviso si è reso necessario perché in otto anni tutto è cambiato. Il 15 novembre 2012 Xi Jinping è stato nominato segretario del Partito Comunista Cinese ed è diventato anche presidente della Commissione militare centrale, contrariamente ai suoi predecessori che lasciavano passare un po’ di tempo prima di occupare anche questa seconda carica. Xi Jinping giunge come riformatore e uomo di compromesso: nessuno si sarebbe aspettato che prendesse la direzione che possiamo vedere oggi. Ve ne erano stati degli indizi, come ad esempio la campagna contro la corruzione da lui intrapresa. Con lui, Il partito è tornato al centro.
Hu Jintao, pur non essendo stato lineare, sembrava condurre ad un cambiamento verso una forma di governo più soffice. La svolta del 2012 all’epoca generalmente non fu capita. L’aveva ben compresa da parte sua Gianni Sofri, che presentando Ritorno a Confucio aveva dichiarato scetticismo nei confronti delle speranze e degli auspici di cui il volume si faceva latore. L’esperienza successiva si è incaricata di dargli ragione: la direzione intrapresa da Xi è stata sempre più assertiva, e più si sentiva sicuro più il controllo si rendeva capillare.
La dirigenza cinese del post-maoismo aveva escogitato modalità precise per impedire al paese di cadere nella trappola dell’uomo solo al comando, grazie a un meccanismo per cui ogni cinque anni al congresso si cambiava metà della classe politica. Quella che non era stata cambiata sarebbe stata rimpiazzata al turno successivo, e così ogni dieci anni tutto si modificava. Per trent’anni questa norma era stata posta in atto, e nonostante fossero stati tre decenni problematici, coloro che venivano scelti in questo modo hanno tratto fuori la Cina dalla povertà. Coloro che gestivano il paese non erano coloro che avevano fatto la lunga marcia, ma tecnocrati e politici di professione che non facevano parte dell’aristocrazia rossa. Xi Jinping invece vi appartiene, essendo figlio di un combattente che ha compiuto la Lunga Marcia al fianco di Mao.
Poco prima della sua elezione aveva avuto luogo una riunione di più di duecento discendenti dei padri della patria con il cui consenso egli è giunto al potere, ma ha poi fatto ciò che essi temevano: cambiando la costituzione ha rotto l’avvicendamento al potere e ha sostituito tutta la classe dirigente con propri uomini. L’estromissione di Hu Jintao, il vecchio presidente, portato fuori dalla sala del congresso dove ogni gesto è programmato, alla presenza dei giornalisti e di oltre duemila congressisti, è stata una scena drammatica di ostentazione del potere, un momento visivamente importante: si tratta di un filmato di pochi minuti che è stato analizzato fotogramma per fotogramma e che non permette di credere alla versione ufficiale (un malore) che ne è stata data in seguito.
Xi Jinping negli ultimi anni ha commesso molti errori, tra cui si annovera la gestione del Covid: un’epidemia inizialmente tenuta nel silenzio dalle autorità locali, esplosa poi come pandemia fuori controllo con decine di milioni di persone recluse in piccole case vigilate da soldati armati di fucile. A noi italiani è sembrato che il sistema cinese reggesse meglio del nostro, e i media cinesi ci hanno sbeffeggiato per far passare l’idea secondo cui le autocrazie sono migliori delle democrazie. Dopo di che si è giunti in Cina alla politica “zero Covid” con un vaccino non adeguato (Pfizer è stato rifiutato per motivi ideologici) a cui ha fatto seguito un mutamento di rotta causato dalle proteste, ma il paese non si è ancora ripreso, tanto che gli effetti si sono fatti sentire fino alle nostre filiere economiche. A questi elementi si aggiunge la bolla immobiliare (in Cina ci sono attualmente novanta milioni di appartamenti venduti ma non finiti, con altrettante famiglie che ne stanno pagando i mutui), e i consumi infine non sono ripartiti.
Un capitolo importante del libro è dedicato al rapporto fra la Cina e Putin, e l’autore ha aggiornato l’opera fino a poco prima della stampa. Pochi giorni dopo la sua uscita è scoppiato il conflitto israelo-palestinese che l’avrebbe indotto a scrivere un nuovo libro. Il “disordine mondiale” del titolo allude al passaggio ancora in corso a un nuovo ordine globale, un argomento che in Italia viene poco capito, in quanto non si comprende realmente la natura delle ambizioni cinesi. Negli anni ’80-’90 a livello internazionale si favoriva l’ascesa verso il benessere della RPC nella convinzione che ne sarebbe conseguita una sua democratizzazione e una sua pacifica integrazione negli equilibri mondiali (si possono rammentare in proposito le note tesi di Fukuyama sulla fine della storia). A quel tempo il commercio della Cina si effettuava con pochi paesi, oggi si è enormemente espanso. La nuova Via della Seta proclamata nel 2013 da Xi Jinping interessa oltre cento paesi, e la Cina ha accumulato, a costo di enormi sacrifici e con pesantissimi costi ambientali, una ricchezza enorme che contribuisce a restituirle una centralità che è inscritta nel suo stesso nome: zhongguo, ossia “ciò che sta al centro di tutto quanto è sotto il cielo”. Tale centralità, andata perduta nel “secolo dell’umiliazione” inaugurato dalle Guerre dell’Oppio, viene oggi orgogliosamente ribadita dalla sua leadership.
E tuttavia, Xi Jinping è in difficoltà, non più per le restrizioni legate alla pandemia, cancellate dalla sera alla mattina con la conseguenza di milioni di contagiati, ma per le ragioni economiche di una situazione che appare per più versi problematica, e delle cui criticità dati ambienti del partito appaiono acutamente consapevoli.
Come che sia, l’espansione cinese non è più riassumibile in un modello di tipo commerciale, ma va invece concepita come un progetto egemonico. Ogni tanto sembra che l’Europa ne mostri consapevolezza, ma poi tutti i paesi membri corrono in ordine sparso a fare affari con la Cina, il cui governo è abile fra l’altro nell’utilizzare a fini di soft power il fascino della propria ricchissima cultura. Lo mostra fra l’altro la vicenda degli Istituti Confucio, diretta emanazione della politica ufficiale della RPC, che sono gli unici istituti culturali stranieri inseriti nelle nostre università: in Italia (che non casualmente viene considerata una “preda facile” in un report UE sulla disinformazione) sono un argomento che assai difficilmente viene trattato, mentre altrove la loro presenza è, a dir poco, quanto mai controversa, e in vari luoghi sono stati chiusi.
In ogni modo, Maurizio Scarpari sottolinea che è il caso di non confondere la cultura cinese e i cinesi stessi con il loro governo, né la critica al governo cinese con la sinofobia. Occorre piuttosto rendersi conto che la Cina è una grande potenza che lavora al proprio interesse, e che, diversamente dalla mitologia diffusa che la raffigura come perennemente pacifica e propensa all’armonia, storicamente ha sempre albergato eserciti possenti, armi poderose e tecnologicamente avanzate, e conflitti sanguinosi. Sin dalla più remota antichità vi è stata acutamente presente la consapevolezza che “al mondo è più frequente la guerra della pace”, ed è tramite le armi che si sono effettuate le successioni dinastiche, e che l’impero ha realizzato attraverso i secoli la propria espansione.
Occorre inoltre rendersi conto della grande importanza rivestita nella cultura dell’impero confuciano dal pensiero e dalla prassi del cosiddetto legismo, che hanno strutturato in profondità le istituzioni imperiali contribuendo a costruirne la funzionalità e la disciplina autoritaria, e che hanno influenzato lo stesso confucianesimo: un retaggio a cui Xi Jinping non di rado e non a caso esplicitamente si richiama.
In conclusione, Maurizio Scarpari ha ripreso una significativa asserzione di Liang Xiaojun, docente alla China Foreign Affairs University di Pechino, secondo il quale la Cina, nonostante la sua crescente importanza, non è ancora pronta a divenire una potenza globale: per farlo, secondo lo studioso cinese, dovrebbe assumersi la grande responsabilità di dare più di quanto essa prenda, invece di ragionare secondo un mero calcolo di costi-benefici.