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di AMINA CRISMA
(in collaborazione con www.inchiestaonline.it)
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Il 29 luglio sarà trascorso un anno dalla morte di Vittorio Capecchi, fondatore e direttore di Inchiesta.
Domenica 28 luglio alle ore 11 una messa in sua memoria sarà celebrata nella chiesa di San Giovanni in Monte a Bologna, dove un anno fa, il 2 agosto, ebbe luogo il suo funerale.
Si sta progettando all’Alma Mater un convegno in suo onore, per il 28 novembre, giorno del suo compleanno.
Questo articolo a lui dedicato è apparso sul n. 363/2024 della rivista I Martedì del Centro San Domenico di Bologna.
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Amina Crisma
In ricordo di Vittorio Capecchi, un anno dopo
(Pistoia, 28 novembre 1938 – Bologna, 29 luglio 2023)
Nell’anno trascorso dalla morte di Vittorio Capecchi, mio marito, professore emerito di Sociologia e Sociologia matematica dell’Alma Mater, ne sono apparse varie rievocazioni: fra queste, l’ampio saggio di Franca Bimbi sugli orizzonti delle sue ricerche, il bell’articolo di Piero Formica sulla dimensione internazionale della sua attività, il dibattito alla Festa dell’Unità di Bologna dedicato al suo impegno sul versante della disabilità, l’articolato contributo di Sergio Caserta sul suo intenso rapporto con il sindacato e il mondo del lavoro, e altre ancora, fra cui le affettuose, commosse e commoventi poesie che gli hanno dedicato gli amici Stefano Bonaga e Roberto Dall’Olio (per una rassegna di queste testimonianze, rinvio alla versione online di Inchiesta, la rivista fondata da Vittorio e da lui diretta dal 1971).[1]
Come compagna di vita e di letture di Vittorio nei suoi ultimi tredici anni, accolgo volentieri l’invito a ricordarlo degli amici de I Martedì del Centro San Domenico, a cui eravamo legati entrambi da una cordiale frequentazione (insieme partecipavamo agli incontri di Scienza e fede, e insieme abbiamo fra l’altro contribuito, con un articolo cofirmato, “Diritti, quale futuro? Dimensioni sociali e interculturali”, al dossier L’uomo e i suoi diritti del n. 354 del 2022).[2] Non ho certo qui l’ambizione di descrivere la vastità del suo percorso intellettuale, o la rilevanza dei suoi contributi teorici: questo lo fanno, e lo faranno, coloro che sono stati, ben più a lungo di me, suoi autorevoli interlocutori. Il mio intento è delineare, dal mio punto di vista inevitabilmente circoscritto alla particolare fase della sua esistenza che ho avuto il privilegio di condividere con lui, qualche elemento per ricostruirne il profilo, nella convinzione che una riflessione condivisa sulla sua esperienza sia un “guardare indietro per guardare avanti”, come recita significativamente il titolo di una sezione di Inchiesta. Parlare di lui, insomma, credo possa essere un incentivo al nostro pensare, progettare, agire insieme, attuali e futuri: un atto di memoria e di testimonianza rivolto all’oggi e al domani, da condividere con coloro che l’hanno incontrato, e da affidare soprattutto ai giovani con cui Vittorio ha dialogato e interagito per la sua intera vita, e fino ai suoi giorni estremi, affascinandoli con la sua impareggiabile arte di raccontare.
Un riferimento che mi sembra importante per narrare sinteticamente la storia di Vittorio lo ha offerto lui stesso, con l’editoriale “Mezzo secolo di due riviste: Quality and Quantity e Inchiesta”, apparso sull’ultimo numero di Inchiesta cartacea (ottobre-dicembre 2020, visibile anche sulla versione online) in cui egli ha tracciato la propria autobiografia attraverso la vicenda delle due riviste da lui fondate, e dirette per cinquant’anni: la prima, in inglese (il cui nome ben riflette l’originale metodologia di tutto il suo lavoro, trasversale a tutti i campi da lui esplorati, e fondata sulla costante integrazione/ interazione dialettica di questi due aspetti) si proponeva di diffondere in Europa i modelli matematici applicati alle scienze sociali (e oggi è più che mai fiorente, e diffusa soprattutto in Asia); la seconda si configura programmaticamente come “trimestrale di ricerca e di pratica sociale” che si propone di legare conoscenza e prassi trasformatrice, in base all’assunto (mi avvalgo qui dell’efficace sintesi che me ne ha offerto l’amico Gianni Tognoni) che “una produzione di conoscenza deve essere sempre un dialogo reciproco di verifica-dialettica tra una immaginazione/teoria e una ‘inchiesta’, fatta di più sguardi, sul campo”. In questa prospettiva, sin dall’inizio la rivista ha una precisa connotazione militante, e assume a riferimento privilegiato la Federazione Lavoratori Metalmeccanici (fra i suoi numeri più notevoli e di maggiore impatto degli anni Settanta mi limito a rievocare quello, indimenticabile, dedicato alle 150 ore). [3] E inoltre, per impulso di Adele Pesce, compagna di Vittorio per oltre trent’anni, si apre al femminismo, avvalendosi fra l’altro della significativa collaborazione di Luce Irigaray.[4]
Per mezzo secolo Inchiesta è stata attiva promotrice di riflessioni e dibattiti su una molteplicità di temi, in conformità all’atteggiamento annettivo e inclusivo del suo fondatore e direttore, distante da ogni chiusura settaria e settoriale, e costantemente proteso all’esplorazione trasversale di crinali interdisciplinari e interculturali. Qualche esempio per tutti: il memorabile convegno promosso a Bologna negli anni Ottanta che ebbe per protagonista Fernand Braudel, la riflessione su “la città della comunicazione” all’inizio degli anni Duemila, il dibattito sul “ritorno a Confucio nella Cina d’oggi” avviato nello scorso decennio. Inchiesta è stata, insomma, “una fabbrica di cultura” – così la definiva uno dei suoi più attivi contributori degli anni recenti, il compianto amico Bruno Giorgini: uno spazio aperto, pluralistico, di libero confronto, a cui hanno contribuito, accanto ai sociologi, economisti, psicologi, storici, giuristi, filosofi, teologi, e quant’altro….[5] Fra i tanti, voglio ricordare in particolare il compianto amico e maestro Pier Cesare Bori, che ci ha fatti incontrare, e l’esperto in reti neurali artificiali Paolo Massimo Buscema, che Vittorio ha intervistato sul tema dell’intelligenza artificiale nel libro L’arte della previsione (Mimesis 2020).
Fin dall’inizio, il percorso di Vittorio ha avuto una dimensione internazionale: la Columbia University di Paul Lazarsfeld (e della marcia per la pace in Vietnam del 1967 con Martin Luther King), la Cina visitata nei primi anni Settanta (e la cui presenza su Inchiesta si è ulteriormente accresciuta negli anni recenti, con il cospicuo apporto di sinologi quali Antonella Ceccagno e Maurizio Scarpari), il Vietnam, l’Irlanda, il Brasile, la prediletta Parigi, il Giappone a cui lo aveva introdotto Ronald Dore, e dal quale gli era arrivato nel 2022 un prestigioso riconoscimento dei suoi meriti interculturali, il conferimento dell’Ordine del Sol Levante. Ma al contempo vi sono paesaggi italiani che in lui hanno avuto speciale e duratura incidenza: la Pistoia della sua infanzia e delle sue prime esperienze di onnivoro lettore, la Milano della sua formazione alla Bocconi (e del confronto con la Chiesa di sant’Ambrogio),[6] la Olivetti di Ivrea dove ha trovato un padre spirituale in Cesare Musatti, e dei fratelli maggiori in Renato Rozzi e Franco Novara, la Trento dell’avventurosa nascita della facoltà di Sociologia. E infine c’è Bologna, dove si è svolta la maggior parte della sua esistenza, luogo di innumerevoli fertili incontri: solo per citarne alcuni, Claudio Sabattini, Luigi Pedrazzi, Giovanni Evangelisti, Umberto Romagnoli, Paolo Prodi, monsignor Giovanni Catti, Dino Buzzetti, Maurizio Matteuzzi, Gianni Sofri…e la cara Flavia Franzoni, al cui ricordo Vittorio ha dedicato l’ultima sua intensa testimonianza.
Alla sua sempre viva curiosità per orizzonti diversi si accompagnava una strenua fedeltà ad alcuni temi essenziali. Non credo sia un caso che il suo penultimo scritto sia un dialogo su Don Milani con Riccardo Cesari (che a Vittorio ha poi dedicato un commosso ricordo), così come su Don Milani quasi sessant’anni fa era stato uno dei suoi primi saggi, visibile anche su Inchiestaonline, apparso sulla rivista Il Mulino che l’ha di recente ripubblicato. C’era un saldo nucleo di valori fondamentali a cui faceva riferimento. L’uguaglianza per lui non era un’ideologia, ma innanzitutto e soprattutto un’etica, appresa dai suoi maestri della Bocconi, come Francesco Brambilla, che erano stati nella Resistenza, che gli avevano insegnato a coltivare l’amore per la matematica,[7] e che gli leggevano Keynes. In proposito, Vittorio amava citare un icastico motto di Giorgio La Pira, che dichiarava quali propri riferimenti essenziali “il Vangelo e Keynes” (e a La Pira abbiamo reso insieme omaggio, visitando con emozione la sua celletta nel convento di San Marco a Firenze qualche anno fa).
C’era in lui un robusto impianto razionale, fra i cui riferimenti privilegiati svettavano Marx, Weber, Freud (e a Freud l’aveva iniziato Cesare Musatti, incontrato, come s’è detto, in quella straordinaria fucina intellettuale che è stata la Olivetti di Ivrea); accanto a questo, e con questo non in contraddizione, c’era una forte istanza spirituale, una sensibilità profonda per il mistero al cuore delle cose – e in quest’ambito si inscrivevano riferimenti molteplici, da Carl Gustav Jung a Dietrich Bonhoeffer, dal François Cheng delle meditazioni sul male, sulla bellezza, sulla morte al Charles Péguy cantore, in una famosa poesia, di quella bambina irriducibile che si chiama speranza. Fra i suoi ultimi appunti, ho trovato una pagina del Wenzi, testo taoista che parla il linguaggio paradossale del Laozi, il cui titolo nella traduzione di Jean Levi è reso come l’obscure clarté. A questa duplice prospettiva si riconduce anche il suo grande interesse per lo Yijing, il Classico dei mutamenti, a cui Vittorio ha dedicato una decennale ricerca confluita in un volume rimasto incompiuto, e in parte riflessa nella prefazione, che abbiamo scritto insieme, al libro di Matteo Sgorbati L’I Ching a Eranos. Wilhelm, Jung e la ricezione del Classico dei mutamenti (Orientexpress 2021).
Vittorio rappresentava questa duplice propensione che lo accomunava all’amico Pier Cesare Bori, e per certi versi anche a un altro significativo interlocutore incontrato in anni più recenti, Amos Luzzatto, facendo riferimento all’immagine del cristallo e della fiamma delle Lezioni americane di Calvino, o alla Discesa nel Maelström del suo prediletto Edgar Allan Poe. In Vittorio, mi pare, non diversamente che in Pier Cesare, e in Amos, laicità e spiritualità, rigore e apertura, esprit de géométrie ed esprit de finesse, illuminismo e illuminazione, capacità di scrutare e di interpretare la dialettica complessità del reale e limpida essenzialità di scelta etica, lucida intelligenza critica e umanità generosa e dolce convergevano e si integravano, oltre che nei loro pensieri e discorsi, nella tacita esemplarità del loro modo di essere e di vivere. Mi piace immaginare che stiano continuando altrove, non troppo distanti da noi, la loro amichevole conversazione, nella fiducia condivisa nella potenzialità di luce insita in ogni essere umano: una fiducia oggi forse più che mai ardua da serbare e da coltivare, e forse proprio per questo oggi ancor più necessaria.
[1] Cfr. www.inchiestaonline.it, da luglio 2023 a tutt’oggi. Oltre alle testimonianze citate, vi si veda Luca Crisma, “Vittorio Capecchi e la disabilità”, cronaca del dibattito animato da Roberto Alvisi (UILDM), Angelo Gabriele Aiello, Andrea De Maria e Simona Lopapa (autrice di Vissuti di qualità, Pendragon 2012, di cui Vittorio ha scritto una significativa introduzione). Cfr. inoltre Vittorio Capecchi, Sergio Caserta, Angiolo Tavanti, Tra storia e futuro. Politiche per una regione smart, Il Mulino 2015.
[2] Vittorio Capecchi, Amina Crisma, “Diritti, quale futuro? Dimensioni sociali e interculturali”, I Martedì, 1, 45, 354/2022, pp. 35-39.
[3] La bandiera rossa della FLM era sulla bara di Vittorio, insieme alla toga e al tocco accademici, al suo funerale, il 2 agosto, nella chiesa di San Giovanni in Monte.
[4] Cfr. Vittorio Capecchi, Donata Meneghelli (a cura di), Adele Pesce, Fare cose con le parole. Lavoro, sindacato, politica, femminismo, Dedalo 2012.
[5] Una peculiarità della redazione di Inchiesta rievocata nell’editoriale già sopra citato è la presenza al suo interno di una significativa componente valdese: Giovanni Mottura, Giovanni Jervis, Mario Miegge, Giorgio Rochat….
[6] Cfr. La Chiesa di Sant’Ambrogio, lettera a un vescovo, a cura di comunità ecclesiali milanesi, Laterza 1970, a cui Vittorio ha contribuito.
[7] Alla “bellezza della matematica” era dedicato un progetto didattico di Vittorio rimasto purtroppo inattuato. Su questo tema cfr. l’intervento di Franco Massimo Spiezia, che vi ha partecipato e collaborato, su Inchiestaonline, 27 novembre 2023.
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