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Per un certo periodo, da fine anni’80 agli inizi del nuovo secolo, mi sono interessato allo studio del cosiddetto “rischio paese”.
L’analisi era finalizzata alla valutazione di criticità delle economie emergenti dopo i numerosi default del debito sovrano.[1] Le crisi erano accomunate dalla presenza di cosiddetti “deficit gemelli”: a un disavanzo pubblico (differenza tra entrate e uscite dello Stato) si era spesso accompagnato un disavanzo della bilancia commerciale (differenza tra esportazioni e importazioni) che per alcuni economie rendeva impossibile onorare gli impegni finanziari con paesi terzi.
L’analisi di rischio paese utilizzava un modello complesso che combinava dati economici e monetari quantitativi, attuali e prospettici, e aggiustamenti qualitativi con particolare attenzione alla stabilità sociopolitica.
Gruppi di lavoro erano tenuti periodicamente presso la Banca d’Italia e Sace per definire una classifica dei paesi a rischio. L’obiettivo era di stabilire comportamenti prudenziali da tenere, da parte delle Banche o aziende, nelle scelte d’investimento in particolare nelle economie emergenti.
La crisi finanziaria Usa del 2007-2009 del mercato dei prestiti subprime cambiò profondamente lo scenario di riferimento. Innescò un’ondata di crisi del debito sovrano in Europa soprattutto nei paesi più fragili. [2]
I problemi economico finanziari del primo decennio 2000 insieme a quelli originati dal Covid hanno segnato un allargamento geopolitico del rischio paese dai paesi “emergenti” ai paesi “emersi”. E a seguito della globalizzazione dei mercati il potenziale pandemico di diffusione della crisi si è rivelato molto più rapido di quando una insolvenza nasceva in un paese in via di sviluppo.
A mio avviso, se oggi valgono ancora i principi che avevano improntato la metodologia di valutazione del rischio paese, in specie, la presenza di “deficit gemelli”, nascono preoccupazioni circa la tenuta sistemica globale. In particolare gli USA rischiano di divenire l’epicentro di una crisi economico- finanziaria molto più importate di quelle già sperimentate in passato.
La crescita trilionaria del debito pubblico e di quello delle famiglie[3] è accompagnata ad un ampio disavanzo della bilancia commerciale[4].
La nuova amministrazione repubblicana applica spettacolari tagli della spesa federale e ricorre minacciosa ad una politica protezionistica fondata sull’introduzione di dazi alle importazioni, con l’obiettivo di tamponare lo sbilancio commerciale.
Interventi che celano una fragilità profonda in quanto non mirano ad una stabilità interna ed internazionale ma ad un obiettivo ufficiale di “fare l’America nuovamente grande” mentre, ufficiosamente, vengono salvaguardati interessi elitari di alcuni gruppi di potere.
La iper-semplificazione ideologica, improntata ad un tipo di individualismo tecno-mistico[5], pone al centro delle scelte politiche il business; i vantaggi di una elite, che rischiano di produrre molteplici effetti collaterali all’interno del paese ed un incontrollabile aumento del rischio economico finanziario globale.
A livello di economia USA esistono fondate preoccupazioni circa:
Tuttavia il primato mono-polare del paese nel contesto internazionale, grazie al dollaro quale valuta di riserva internazionale, e alla narrazione mediatica di fortezza economico-militare “troppo potente per crollare” sembrano illudere i mercati che non esista un rischio paese USA.
I fantasiosi annunci trumpiani rendono di grande attualità le osservazioni contenute nella sezione Denaro dei Manoscritti economici finanziari di Marx, sulla virtualità del denaro quale “bene supremo” [8] che riduce “la rappresentazione in realtà e la realtà in semplice rappresentazione”.
[1] Messico (1994), Sud est –asiatico (1997), Russia (‘97-98), Brasile (’98-99), Argentina (2001)
[2] I Paesi PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna), o “periferici”, si caratterizzavano per una maggiore vulnerabilità legata a dinamiche non sostenibili del debito pubblico accompagnate a bassi tassi di crescita del PIL.
[3] A fine ’24 pari a ca. 34 trilioni di $, di cui oltre un trilione quello delle famiglie, (nel 2023 pari a oltre il 120% del PIl) fonte: Office of Management and Budget, The White House
[4] Nel dicembre ’24 pari a ca. 100 miliardi $
[5] neologismo ripreso recentemente da Massimo Gaggi sul Corriere. Un gruppo di potere di turbo capitalisti (da Peter Thiel a Elon Musk) che si fondano suile filosofie da Friedrich Nietzsche, a Vilfredo Pareto, secondo cui il potere politico è sempre in mano a una minoranza (elitismo)che governa l’intera società; da J.R.R. Tolkien autore della saga fantasy del Signore degli anelli a Douglas Adams, autore della fantascienza surreale della Guida galattica per gli autostoppisti (1978)
[6] il tasso annuo di inflazione è salito al 3% a gennaio ’25 (fonte source: U.S. Bureau of Labor Statistics)
[7] Alessandro Fugnoli nella rivista Aspenia
[8] (…) Il denaro è il bene supremo, e quindi il suo possessore è buono; il denaro inoltre mi toglie la pena di esser disonesto; e quindi si presume che io sia onesto. Io sono uno stupido, ma il denaro è la vera intelligenza di tutte le cose; e allora come potrebbe essere stupido chi lo possiede? Inoltre costui potrà sempre comperarsi le persone intelligenti, e chi ha potere sulle persone intelligenti, non è più intelligente delle persone intelligenti? Io che col denaro ho la facoltà di procurarmi tutto quello a cui il cuore umano aspira, non possiedo forse tutte le umane facoltà ? Forse che il mio denaro non trasforma tutte le mie deficienze nel loro contrario ? (sezione Denaro dei Manoscritti economici-filosofici di Marx del1844)
4 Responses to La “fortezza” USA troppo potente per crollare?